ARCHIVIO PUBLIFOTO “LA RICOSTRUZIONE TRA RITO E MITO” a cura di Claudia Cavatorta e Paolo Barbaro

L’agenzia Publifoto Roma apre i battenti a ruota di quella milanese – che inizia le attività nel 1937, su iniziativa di Vincenzo Carrese – ed opera da subito, in parallelo con l’Istituto LUCE, come agenzia fotogiornalistica dell’ufficialità governativa. I suoi operatori raccontano le parate del fascismo, le folle oceaniche e le campagne del grano, la cronaca edulcorata del ventennio in cui non si poteva mostrare nulla di preoccupante. La campagna era quella delle città di fondazione, dei contadini italici e delle massaie prolifiche. Eventuali scenari perturbanti non si dovevano vedere: la cronaca nera, la miseria, le facce scontente non arrivavano ai sali d’argento dei negativi, e se qualcosa giungeva sulla carta smaltata delle stampe - sempre di perfetta esecuzione quelle di Publifoto - non arrivava certo sul tavolo delle redazioni. Qualcuno raccontava di Mussolini nel suo ufficio dalla luce sempre accesa con la matita rossa a vergare decisi NO sul retro delle stampe. Finisce la guerra, arriva l’anno difficile dell’armistizio, Roma città aperta; poi la fine del regime, la Repubblica, le elezioni, i primi passi del paese democratico alle prese con una difficile situazione sociale ed economica.
E’ una fase convulsa che apre a racconti mai visti prima; si afferma uno stile, un’area di racconto che viene chiamato neorealista. La circolazione delle immagini riprende e cresce velocemente. Presto la televisione arriverà in tutte le case ma vi è una fase, tra dopoguerra e miracolo economico, in cui la fotografia e il cinema costituiscono il principale luogo di costruzione dell’immaginario del Paese, scandendone i rituali, definendo le figure dei miti di massa.
L’agenzia romana di Publifoto è in una posizione particolare. Per vocazione territoriale si specializza nella cronaca politica, religiosa, del cinema, della moda. E rimane una voce iconografica ufficiale: è un’azienda che comunque deve vendere il suo prodotto alle testate, ai principali gruppi editoriali, e se possibile
anche alla stampa non governativa. Le sue immagini devono essere ben costruite, disponibili a racconti differenti della realtà, parlare lingue adeguate alle nuove situazioni e attese.
E’ considerando tutto questo che dagli immensi archivi della Publifoto - conservati dal CSAC dell’Università di Parma – sono stati individuati alcuni servizi che si muovono tra
l’ufficialità e la cronaca diretta, ritualizzando scansioni della vita e della cronaca degli anni tra i Cinquanta e i Sessanta.
Sono anni in cui Publifoto è in relazione con modelli nuovi di giornalismo, come quello de Il Giorno che commissiona servizi all’agenzia, e su fronti internazionali dell’uso editoriale della fotografia, in modo speciale con Life.

Lontano dall’urgenza del racconto di cronaca, queste immagini ci riportano ad aspetti di un’Italia scomparsa, in bilico tra arretratezza e consumo, tra realtà locale e dimensione già globale delle culture d’immagine, attraverso una scrittura di inattesa qualità e modernità.