LIDIA CAPUTO - OLTRE L'APPARENZA
OLTRE L’APPARENZA
L'espressione naturale nell'interpretazione fotografica
Qualche anno fa l’associazione Aihelpiu mi diede la possibilità di introdurre un mio
progetto nel reparto femminile della II Casa circondariale di Milano. Il percorso
prevedeva delle sedute di ritratto in cui le detenute sarebbero state non solo i soggetti,
ma anche coloro che con il mio aiuto e di due miei studenti avrebbero scattato le
immagini. I ritratti vennero scattati con una tecnica che si ispirava alle immagini dei
pionieri. Come loro, utilizzammo dei tempi di posa molto lunghi che non permettevano
ai soggetti di assumere espressioni che non erano proprie e che non riuscivano a
mantenere a lungo. L’unico modo perché la foto risultasse ferma era quello di assumere
la posizione più comoda e l’espressione che costava meno fatica, la propria.
Dopo aver scattato tutti i ritratti del gruppo con un tempo di otturazione di 30’’, le
detenute videro i loro ritratti. Fu un momento difficile, ma emozionante. Tutte si
riconobbero in quelle immagini, ma la maggior parte di loro riconobbe ciò che di sé
stessa non voleva vedere, voleva dimenticare o cancellare: quello che di solito nasconde
a sé e agli altri.
Sappiamo che la diffusione della pratica del ritratto è dovuta al piacere innato che ogni
essere umano ha di vedersi riflesso. Nelle fotografie ci vorremmo vedere belli, belli
quanto vorremmo che ci vedessero gli altri. La fotografia, dunque, esprime il bisogno
umano per eccellenza: il riconoscimento altrui, il bisogno dell’altro.
Dopo aver visto le foto esplosero commenti, discussioni e confronti, qualche volta
dolorosi, altre volte pieni di speranza. Spesso nelle immagini non erano riuscite a
cancellare quella parte della loro vita per cui avevano sofferto di più. Ognuna di loro
espresse le proprie emozioni riguardo la propria immagine e quella delle altre. In
seguito, nel privato della loro cella, scrissero quello che provarono e che divenne
didascalia alle immagini