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VASCO ASCOLINI
"PERSISTENZE"
Inizia a fotografare nel 1965, usando i toni bassi, per poi passare a quelli alti affascinato dalle immagini di Giuseppe Cavalli. Nel 1973 comincia il lavoro sul teatro al Valli di Reggio Emilia, dove riprende la ricerca del nero.
Negli anni '70 decide di perseguire un cammino “fuori le mura”, non solo cittadine o regionali ma anche nazionali. Per il teatro si rivolge ai grandi musei degli Stati Uniti. Molte delle sue immagini sono oggi conservate al Metropolitan Museum e al MoMA di New York, nella Library Collection Artist Files. Una grande mostra al Lincoln Center nella Public Library, nel 1985, chiude la sua ventennale ricerca sul teatro. Ma prosegue il suo interesse sul genere e ad esporre.. Nella seconda meta` degli anni '80 comincia a lavorare sui beni culturali delle citta`, dalla loro fondazione a fine '800, mantenendo la cifra del nero. La Francia, tra tutti i paesi, è quella che lo accoglie più attentamente, conferendogli incarichi da realizzare all'interno delle sedi dei più importanti musei nazionali: come il Rodin (il primo), poi il Louvre, il Carnavalet, la Bibliothe`que Nationale de France e tanti altri, come Les Monuments Nat. de France.
I lavori realizzati ad Arles, grazie a Miche`le Moutashar, gli danno all’estero molta visibilita`. Ascolini conosce direttamente e riceve scritti da alcuni dei più grandi personaggi della cultura dell’altro secolo, come E. Gombrich, J. Le Goff, e A. Scharf, F.Licht. Tra gli storici più attenti verso la sua produzione ci sono: M. Mussini, S. Parmiggiani, al quale deve la sua unica mostra antologica, e I. Zannier, ma anche J. Arrouye, M. Dall’Acqua, Janus, J.C. Lemagny, M. Quétin, A. Schwarz, P. Sorlin, G. Vercheval, T. Wood, e giovani studiosi come M.C. Botti, J. Brard, G. Bresc, C. Breton, X. Canonne, A. Gioe`, A. Griffiths, D. Giugliano, A. Kurkumelis, J.L. Monterosso, H. Pinet, R. Pujade, F. Raschiatore, F. Reynaud.
Nel 2000 riceve la nomina a “Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres” dal Ministero della Cultura della Repubblica Francese.
Archeologie
Fotografare è scrivere con il passato, significa sovrapporre all'immagine dell'istante la materia di un
presente che testimonia una resistenza.
La fotografia per natura racconta sempre uno scarto, si struttura sulla successione di tempi, vicini
oppure molto lontani. Parte di questo suo linguaggio è l'intenzione indicale, che riporta al mondo da
cui non si può prescindere, l'appropriazione di una realtà che nel suo divenire immagine si fa
ricordo, memoria, presenza certa di esistenza.
Fotografare significa indicare, mettere in relazione, avvicinare, stabilire un legame di connessione
tra soggetto e realtà, evidenziare non solo la presenza, la condizione della cosa (fenomeno sensibile
che si da a vedere), ma il modo in cui la si esperisce.
L'immagine riflette la situazione interiore che la cosa crea in chi osservando la vive. Dunque la
fotografia non sarebbe solo estensione dello sguardo, evoluzione tecnica della fedele e sempre
diversa resa del reale, unica per ogni individuo che la fa propria, ma anche intenzione tattile. Perché
fotografare è ritrovare lo sguardo sulle cose, appropriarsene, rendere materialmente l'immagine
trasportando l'oggetto in una realtà altra, che mantiene l'eco della presenza e testimonia una
vicinanza di relazione.
La scrittura fotografica porta il soggetto ad un avvicinamento necessario, ulteriore, verso la realtà,
diventa il confine con l'immagine di un tempo a venire, già passato nel suo manifestarsi, che mette
in connessione l'unicità della storia dell'autore con quella di ciò che viene impresso.
La persistenza del passato di Vasco Ascolini pone quindi un quesito ulteriore sulla natura intrinseca
del mezzo. Ascolini fotografa le testimonianze di presenze lontane, le loro tracce, riflette
sull'iconografia pittorica ricercando i limiti e le possibilità del suo mezzo di scrittura.
Le sue immagini raccontano l'impressione delle Avanguardie storiche, il loro lascito nel suo modo
di vedere. I neri così profondi sono il risultato della sua lunga esperienza come fotografo di scena al
Teatro Valli di Reggio Emilia, ma anche un rimando a quella simbologia e relazione delle cose di
certe nature morte fiamminghe di fine Cinquecento e Seicento, alla violenza di tono
dell'Espressionismo. Il fascino per il frammento, la rovina, le prospettive così attente alla resa del
perturbante, invece, rimanderebbero alla categoria batalliana dell'Informe, tanto cara ai Surrealisti...........
Ascanio Kurkumelis